Sentenza n. 182 del 2022

SENTENZA N. 182

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. da 1 a 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 febbraio 2015, n. 2 (Disposizioni in materia di trattamento economico dei consiglieri e degli assessori regionali, nonché di funzionamento dei gruppi consiliari. Modifiche alle leggi regionali 2/1964, 52/1980, 21/1981, 38/1995, 13/2003, 18/2011 e 3/2014), promosso dal Tribunale ordinario di Trieste nel procedimento vertente tra G. C. e altri e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e altro, con ordinanza del 6 ottobre 2020, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di costituzione di G. C. e altri e della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2022 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato Maurizio Paniz per G. C. e altri e Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Trieste ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 1 a 5 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 febbraio 2015, n. 2 (Disposizioni in materia di trattamento economico dei consiglieri e degli assessori regionali, nonché di funzionamento dei gruppi consiliari. Modifiche alle leggi regionali 2/1964, 52/1980, 21/1981, 38/1995, 13/2003, 18/2011 e 3/2014), in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 23, 42, 48, 51, 53, 64, 66, 67, 68, 69, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; agli artt. 21 e 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; agli artt. 10, 20 e 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali».

Il rimettente, dopo aver rammentato la finalità di contenimento dei costi della politica perseguita dall’intervento legislativo, si sofferma sull’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, il quale, in particolare, nella versione attualmente vigente, dispone che «1. A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della presente legge e sino al 30 giugno 2019, l’assegno vitalizio e la sua quota, previsti e disciplinati dalle leggi regionali 38/1995 e 13/2003, sono ridotti nel loro ammontare mensile lordo secondo le percentuali progressive di cui all’allegata tabella A, ovvero di cui all’allegata tabella B, qualora il beneficiario dell’assegno e della sua quota sia in godimento di un assegno vitalizio erogato dal Parlamento europeo. A seguito della riduzione prevista dal presente comma l’importo dell’assegno vitalizio e della sua quota non può essere comunque inferiore a 1.500 euro mensili lordi. 2. Il beneficiario dell’assegno vitalizio e della sua quota, entro quindici giorni dall’entrata in godimento di un assegno vitalizio erogato dal Parlamento europeo, è tenuto a darne comunicazione formale ai competenti uffici ai fini della riduzione prevista al comma 1, nonché dei conseguenti ed eventuali conguagli. 3. Le riduzioni previste al comma 1 non trovano applicazione qualora l’importo dell’assegno e della sua quota, erogati ai sensi delle leggi regionali 38/1995 e 13/2003, sia pari o inferiore a 1.500 euro mensili lordi. 4. Nel caso in cui l’assegno vitalizio venga corrisposto sia in relazione al mandato di consigliere regionale che in relazione alla carica di assessore regionale, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in relazione all’importo risultante dalla somma dei due assegni, determinato secondo quanto previsto dall’articolo 9, comma 1, della legge regionale 13/2003».

Le Tabelle richiamate dal citato art. 3 prevedono una riduzione dell’ammontare dell’assegno vitalizio, rispettivamente, del 6 e del 9 per cento fino all’importo di euro 2.000; del 9 e del 13,5 per cento per l’eccedenza fino a euro 4.000; del 12 e del 18 per cento per l’eccedenza fino a euro 6.000; del 15 e del 22,5 per cento oltre tale ultima soglia.

Il giudice a quo evidenzia che le riduzioni in questione, originariamente destinate a essere applicate fino al 30 giugno 2018, sono state prorogate dapprima al 31 dicembre 2018 (art. 5 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 giugno 2018, n. 16, recante «Modifiche alle leggi regionali n. 8/2000, n. 3/2014, n. 2/2015»), poi al 30 aprile 2019 (art. 12, comma 1, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2018, n. 28, recante «Legge collegata alla manovra di bilancio 2019-2021») e, infine, al 30 giugno 2019 (art. 1, comma 1, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 aprile 2019, n. 5, recante «Proroga della riduzione temporanea dell’assegno vitalizio e sospensione della rivalutazione annuale»), finché, a decorrere dal 1° luglio 2019, la misura del trattamento è stata rideterminata secondo il metodo di calcolo contributivo dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 giugno 2019, n. 8 (Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi previsti e disciplinati dalla legge regionale 13 settembre 1995, n. 38 e dalla legge regionale 12 agosto 2003, n. 13).

Tanto premesso, il giudice rimettente rivolge alla citata normativa tre ordini di censure.

1.1.– Anzitutto, verrebbe pregiudicato il principio di tutela del legittimo affidamento dei beneficiari degli assegni interessati dall’intervento riduttivo e il principio di certezza del diritto, in violazione degli artt. 2, 3, 23, 42, 48, 51, 67, 97, 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU; agli artt. 21 e 25 CDFUE; agli artt. 10, 20 e 157 TFUE, nonché all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali».

Il legislatore regionale avrebbe provveduto alle menzionate riduzioni senza che vi fosse alcuna situazione di eccezionale necessità a cui fare fronte, immotivatamente, in ragione di una generica esigenza di contenimento della spesa, inidonea a giustificare l’iniziativa alla stregua del giudizio di stretta costituzionalità e di bilanciamento cui essa andrebbe sottoposta, a maggior ragione considerando l’incidenza esclusivamente sugli ex consiglieri e la vanificazione della sua temporaneità a seguito delle proroghe.

A ulteriore riprova del denunciato vulnus, il rimettente evidenzia come tutti gli attori nel giudizio a quo avessero svolto il loro mandato entro la fine della VIII Legislatura (conclusasi nel 2003), dunque oltre dieci anni prima dell’intervento della normativa censurata, quando già avevano iniziato da tempo a percepire il vitalizio, onde il consolidamento della convinzione circa la definitività della liquidazione e la stabilità dell’erogazione.

Il lasso temporale trascorso e la prevista salvaguardia della precedente disciplina dei vitalizi – che sarebbe stata assicurata dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 settembre 1995, n. 38 (Disposizioni in materia di trattamento indennitario dei consiglieri regionali e modifiche alla legge regionale 9 settembre 1964, n. 2), e dal decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213 – avrebbero altresì reso imprevedibile la riduzione.

Infine, quest’ultima risulterebbe sproporzionata, incidendo, da un lato, su una platea ridotta di percettori e, dall’altro, per percentuali in grado di assurgere anche al 22,5 per cento – da cumularsi, altresì, con una precedente riduzione del 10 per cento, applicata dal 2006 – e ciò onde consentire un esiguo risparmio per il bilancio regionale.

1.2.– In secondo luogo, gli artt. 1, 2 e 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015 violerebbero gli artt. 3, 53 e 97 Cost.

L’intervento riduttivo previsto rivestirebbe natura sostanzialmente tributaria, costituendo un prelievo coattivo, acquisito al bilancio, correlato a un dato indice di capacità contributiva e gravante solo su una data categoria di soggetti e non su tutti i cittadini, con ciò risultando ingiustificatamente discriminatorio e irrispettoso dei canoni di uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell’imposizione.

1.3.– Infine, l’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015 violerebbe gli artt. 48, 51, 64, 66, 67, 68 e 69 Cost.

A distanza di anni dalla cessazione del mandato, la disposta riduzione dell’ammontare del vitalizio – che risponderebbe alla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche rappresentative e di garanzia dell’attribuzione di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza, a presidio dei principi di libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48 Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e del libero esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato (artt. 67 e 69 Cost.), nonché, più in generale, della posizione costituzionale assicurata dagli artt. 64, primo comma, 66 e 68 Cost. – svilirebbe il ruolo stesso del consigliere regionale e dell’incarico affidatogli, privandolo della garanzia della percezione di uno stabile riconoscimento economico una volta terminatone l’espletamento, così disincentivando l’accesso alle cariche elettive e la prosecuzione dell’attività politica.

2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo riferisce che gli attori beneficiano tutti – in alcuni casi unitamente ad altro trattamento erogato dal Parlamento nazionale o europeo – di assegno vitalizio, diretto o di reversibilità, correlato alla carica di consigliere regionale ricoperta entro il 2003, e che, avendo subito, in applicazione delle disposizioni censurate, la riduzione del relativo importo, hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla percezione dell’assegno senza decurtazione e la condanna della Regione e del Consiglio regionale al pagamento di quanto indebitamente trattenuto.

Secondo il rimettente, la pretesa azionata in tanto potrebbe ritenersi fondata in quanto qualora le disposizioni censurate, sulle quali si basano le riduzioni applicate, fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, onde la rilevanza delle questioni.

3.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sostenendo l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni sollevate.

Anzitutto, esse sarebbero inammissibili, in quanto il rimettente avrebbe contraddittoriamente qualificato le misure adottate come interventi riduttivi dei vitalizi e come prelievi tributari, omettendo di ricostruire il senso della normativa censurata e dando luogo a una prospettazione ancipite.

Il primo ordine di censure, inoltre, sarebbe ulteriormente inammissibile, in quanto le ragioni addotte a sostegno, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale evocata, sovrapporrebbero argomenti correlati alla pretesa retroattività delle disposizioni oggetto del dubbio di legittimità costituzionale con altri, connessi a una modifica in peius dei rapporti di durata, a cui andrebbe correttamente ricondotta la fattispecie in esame. Il quadro motivazionale risulterebbe ancor più confuso alla stregua del richiamo di alcuni precedenti giurisprudenziali sovranazionali, a supporto della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., senza indicare norme o principi interposti, salvo l’art. 6 CEDU, inconferente in quanto non evocato in relazione a norme retroattive incidenti su un contenzioso in essere. Ne deriverebbe un difetto di chiarezza tale da rendere le questioni inammissibili (si cita la sentenza di questa Corte n. 7 del 2020). In subordine, la Regione eccepisce l’inammissibilità delle censure formulate in relazione agli artt. 21 e 25 CDFUE; agli artt. 10, 20 e 157 TFUE e all’art. «2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali», parametri interposti meramente indicati, senza che ne sia in alcun modo motivata la violazione.

Nel merito, secondo la Regione il primo ordine di censure sarebbe privo di fondamento.

Escludendo che un atto normativo debba indicare una motivazione a sostegno della disciplina da esso recata, nella fattispecie le misure di riduzione adottate, il cui obiettivo sarebbe enunciato nell’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, troverebbero giustificazione alla stregua dei rilievi operati dalla Corte dei conti in sede di parificazione del rendiconto regionale relativo all’esercizio finanziario 2013, occasione in cui sarebbe stata definita problematica e critica la sostenibilità dell’onere per gli assegni vitalizi, prospettandosi l’urgenza dell’adozione di misure di contenimento. Queste ultime, peraltro, corrisponderebbero all’ordine del giorno «Linee guida sull’istituto dell’assegno vitalizio», adottato dalla Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, riunita in assemblea plenaria il 10 ottobre 2014, e troverebbero conforto nella successiva previsione del ricalcolo degli assegni vitalizi regionali con metodo contributivo a opera dell’art. 1, commi 965, 966 e 967, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).

Le misure di riduzione disposte, peraltro, non potrebbero considerarsi imprevedibili, poiché la vantaggiosità del regime avrebbe dovuto rendere i beneficiari consapevoli della possibilità di una rimodulazione del trattamento vitalizio da parte del legislatore.

Quanto alla proporzionalità dell’intervento, la Regione evidenzia come la riduzione prevista sia minima per gli importi più bassi – lasciandone esenti gli assegni fino a euro 1.500 lordi mensili –aumenti progressivamente in ragione dell’entità del beneficio e, malgrado le proroghe, sia stata comunque temporanea, fino a cessare a seguito del ricalcolo con metodo contributivo disposto dalla legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 8 del 2019.

Parimenti prive di fondamento sarebbero le censure formulate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., per erroneità del presupposto interpretativo. Le riduzioni disposte, infatti, non costituirebbero un prelievo fiscale, bensì una misura di razionalizzazione della spesa, volta a riequilibrare complessivamente il sistema e da tenere distinta dai contributi di solidarietà.

Infine, quanto all’ultimo ordine di censure, sarebbe anch’esso privo di fondamento, perché gli artt. 48, 51, 64, 66, 67, 68 e 69 Cost. riguarderebbero esclusivamente i membri del Parlamento e non anche i Consigli regionali e i loro componenti, i cui vitalizi non sarebbero costituzionalmente necessari alla stregua dei parametri evocati.

4.– Si sono costituiti in giudizio D. B. B., G. C., U. D. M. e R. D., parti del giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate e rinviando lo svolgimento dei propri argomenti difensivi a successiva memoria.

5.– Con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha offerto ulteriori argomenti a sostegno dell’inammissibilità e, comunque, della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

Anzitutto, ha eccepito l’irrilevanza di quelle afferenti alla Tabella B richiamata dal censurato art. 3, in quanto nessuno degli attori percepirebbe, unitamente al trattamento regionale, anche un assegno da parte del Parlamento europeo. Ha inoltre ribadito l’inammissibilità delle censure per l’intrinseca contraddittorietà della qualificazione, come riduzione e come tributo, della misura prevista, segnalando anche l’incertezza derivante dalla contemporanea evocazione degli artt. 23 e 53 Cost.; ha rimarcato la giustificazione della sua introduzione, alla luce delle ragioni che l’hanno determinata; ha nuovamente evidenziato la non retroattività dell’intervento, nonché la prevedibilità, la proporzionalità e la temporaneità dello stesso.

Nel merito, la Regione ha ribadito la fisiologica modificabilità dei trattamenti in considerazione e la finalità non tributaria della riduzione che li ha riguardati.

6.– Anche le parti private hanno depositato memoria illustrativa in prossimità dell’udienza, svolgendo argomenti a sostegno dell’accoglimento delle questioni sollevate.

A loro avviso, le misure riduttive adottate avrebbero violato i principi di affidamento e di certezza del diritto, in quanto, trattandosi di un intervento privo di ragionevolezza, imprevedibile, sproporzionato e incidente su un assetto consolidato, ne difetterebbero i requisiti di legittimità.

Anzitutto, la prevista riduzione non sarebbe assistita da un’esplicita e specifica motivazione che consenta di ritenerla giustificata, senza che al riguardo possano soccorrere le ragioni addotte dalla Regione e dallo stesso legislatore, il quale farebbe riferimento esclusivamente a una generica esigenza di contenimento dei costi, di per sé inidonea a sostenere interventi riduttivi su trattamenti in corso di erogazione. Peraltro, nel silenzio della legge in ordine alla destinazione dei risparmi, bisognerebbe ritenere che essi siano stati destinati al bilancio dello Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 487, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», e non a ridurre le spese relative alla rappresentanza politica regionale.

In secondo luogo, l’intervento inciderebbe su un assetto consolidato, sia quanto a requisiti di maturazione del diritto al trattamento, sia quanto a percezione dell’assegno.

Inoltre, difetterebbe il requisito della proporzionalità, perché l’intervento, afferente a trattamenti di natura previdenziale e relativo a una ridottissima platea di soggetti, sarebbe foriero di un risparmio di scarso ammontare a fronte di percentuali di incidenza molto significative, producendo un effetto deteriore permanente – in quanto confluito nella successiva rideterminazione degli assegni con il metodo contributivo – amplificato dal cumulo con quello derivante da precedenti interventi riduttivi, dipendenti dalla decurtazione dell’indennità parlamentare costituente la base di calcolo del trattamento regionale o rappresentati dal blocco della rivalutazione dell’assegno.

Infine, la riduzione sarebbe giunta inaspettatamente, in quanto la normativa di settore, pur nella sua evoluzione, avrebbe sempre fatto salvi gli assetti giuridici precedentemente maturati, alimentando il convincimento circa la loro stabilità, da ultimo suffragato dall’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, che, nell’incentivare una riduzione dei vitalizi regionali, avrebbe fatto salvi quelli in corso di erogazione.

Proprio in ragione di tale ultimo rilievo, la normativa censurata contrasterebbe anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla disposizione statale da ultimo citata.

Ancora, l’intervento delineato dal legislatore regionale, incidendo su vitalizi già in corso di erogazione, collegati a mandati cessati da anni, e svilendo il ruolo stesso del consigliere regionale in correlazione alla carica rivestita, violerebbe i principi della libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48 Cost.), di accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e di libero e indipendente esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato (artt. 64, 67, 68 e 69 Cost.).

In ultimo, secondo le parti private, la riduzione prevista integrerebbe gli estremi del tributo, alla stregua degli elementi identificativi quali individuati dalla giurisprudenza costituzionale, onde la violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost., avendo determinato una discriminazione a discapito dei percettori dell’assegno regionale rispetto ai potenziali destinatari di analogo prelievo dotati della medesima capacità contributiva.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Trieste ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 1 a 5 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 febbraio 2015, n. 2 (Disposizioni in materia di trattamento economico dei consiglieri e degli assessori regionali, nonché di funzionamento dei gruppi consiliari. Modifiche alle leggi regionali 2/1964, 52/1980, 21/1981, 38/1995, 13/2003, 18/2011 e 3/2014), in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 23, 42, 48, 51, 53, 64, 66, 67, 68, 69, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; agli artt. 21 e 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; agli artt. 10, 20 e 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali».

Le censure riguardano specificamente l’art. 3 della citata legge regionale, il quale prevede che «1. A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della presente legge e sino al 30 giugno 2019, l’assegno vitalizio e la sua quota, previsti e disciplinati dalle leggi regionali 38/1995 e 13/2003, sono ridotti nel loro ammontare mensile lordo secondo le percentuali progressive di cui all’allegata tabella A, ovvero di cui all’allegata tabella B, qualora il beneficiario dell’assegno e della sua quota sia in godimento di un assegno vitalizio erogato dal Parlamento europeo. A seguito della riduzione prevista dal presente comma l’importo dell’assegno vitalizio e della sua quota non può essere comunque inferiore a 1.500 euro mensili lordi. 2. Il beneficiario dell’assegno vitalizio e della sua quota, entro quindici giorni dall’entrata in godimento di un assegno vitalizio erogato dal Parlamento europeo, è tenuto a darne comunicazione formale ai competenti uffici ai fini della riduzione prevista al comma 1, nonché dei conseguenti ed eventuali conguagli. 3. Le riduzioni previste al comma 1 non trovano applicazione qualora l’importo dell’assegno e della sua quota, erogati ai sensi delle leggi regionali 38/1995 e 13/2003, sia pari o inferiore a 1.500 euro mensili lordi. 4. Nel caso in cui l’assegno vitalizio venga corrisposto sia in relazione al mandato di consigliere regionale che in relazione alla carica di assessore regionale, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in relazione all’importo risultante dalla somma dei due assegni, determinato secondo quanto previsto dall’articolo 9, comma 1, della legge regionale 13/2003».

Ad avviso del rimettente, la normativa censurata contrasterebbe anzitutto con i principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, in violazione degli artt. 2, 3, 23, 42, 48, 51, 67, 97, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU; agli artt. 21 e 25 CDFUE; agli artt. 10, 20 e 157 TFUE, nonché all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali». Ciò in quanto il legislatore regionale avrebbe provveduto alle menzionate riduzioni senza che vi fosse alcuna situazione di eccezionale necessità a cui fare fronte, in ragione di una generica esigenza di contenimento della spesa, inidonea a giustificare l’iniziativa alla stregua di quel giudizio di stretta costituzionalità e di bilanciamento a cui essa andrebbe sottoposta, altresì considerando l’incidenza su situazioni consolidate da lungo tempo, salvaguardate dalla disciplina regionale e statale come frattanto evolutasi. Inoltre, si tratterebbe di un’iniziativa sproporzionata, in quanto, da un lato, inciderebbe su una platea ridotta di percettori e, dall’altro, per percentuali elevate – accentuate dalla sovrapposizione con precedenti interventi riduttivi – onde consentire, peraltro, solo un esiguo risparmio per il bilancio regionale.

In secondo luogo, la normativa censurata violerebbe gli artt. 3, 53 e 97 Cost., in quanto l’intervento riduttivo previsto rivestirebbe natura sostanzialmente tributaria, costituendo un prelievo coattivo, acquisito al bilancio, correlato a un dato indice di capacità contributiva e gravante solo su una ristretta categoria di soggetti e non su tutti i cittadini, con ciò risultando ingiustificatamente discriminatorio e irrispettoso dei canoni di uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell’imposizione.

Infine, risulterebbero violati gli artt. 48, 51, 64, 66, 67, 68 e 69 Cost., in quanto la riduzione dell’ammontare dell’assegno tradirebbe la funzione del trattamento vitalizio di sterilizzare gli impedimenti economici all’accesso alle cariche rappresentative e di garantire l’attribuzione di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza, a presidio dei principi di libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48 Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e del libero esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato (artt. 67 e 69 Cost.), nonché, più in generale, della posizione costituzionale assicurata dagli artt. 64, 66 e 68 Cost.

2.– Anzitutto, occorre identificare correttamente il thema decidendum, in particolare quanto alla normativa censurata.

L’ordinanza di rimessione, infatti, in alcuni passaggi indica gli articoli da 1 a 5 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, in altri si riferisce soltanto agli artt. 1 e 3.

È tuttavia il solo art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, con le Tabelle A e B da esso richiamate, a prevedere e disciplinare le misure riduttive denunciate dal rimettente.

Pertanto, alla luce delle motivazioni addotte a sostegno della rilevanza e della non manifesta infondatezza, le questioni di legittimità costituzionale debbono ritenersi limitate al citato articolo, così come rileva la difesa regionale.

3.– Tanto precisato, in via preliminare occorre valutare l’ammissibilità delle questioni sollevate, anche alla luce delle plurime eccezioni della Regione, prendendo le mosse da quella afferente alla rilevanza.

3.1.– Nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, quest’ultima eccepisce l’irrilevanza delle questioni afferenti alla Tabella B richiamata dal censurato art. 3, in quanto nessuno degli attori del giudizio principale percepirebbe, unitamente al trattamento regionale, anche un assegno da parte del Parlamento europeo, onde la mancata applicazione delle riduzioni previste dalla citata Tabella.

Al riguardo, occorre precisare che, nella versione normativa originaria, la Tabella B si riferiva anche al caso di percezione di vitalizio da parte del Parlamento nazionale o da altro Consiglio regionale, mentre la limitazione al solo Parlamento europeo è stata introdotta dall’art. 1, commi 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 aprile 2019, n. 5 (Proroga della riduzione temporanea dell’assegno vitalizio e sospensione della rivalutazione annuale), in occasione della dilazione del termine di applicazione delle misure dal 30 aprile al 30 giugno 2019.

Tanto premesso, l’eccezione non è fondata.

Il rimettente, infatti, riferisce che, nel novero dei trentanove attori del giudizio a quo, ve ne sono alcuni che percepiscono altro assegno erogato dal Parlamento nazionale o da quello europeo. Poiché anche per questi l’accoglimento delle domande attoree di accertamento del diritto alla percezione del trattamento riguarda l’importo integrale, senza riduzioni, e di conseguenza la condanna al pagamento di quanto indebitamente trattenuto, sussiste la rilevanza di entrambe le posizioni.

Né si potrebbe dubitare che le domande attoree poc’anzi descritte possano essere accolte in ragione della sopravvenuta – rispetto alla loro proposizione – legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 giugno 2019, n. 8 (Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi previsti e disciplinati dalla legge regionale 13 settembre 1995, n. 38 e dalla legge regionale 12 agosto 2003, n. 13), della quale il rimettente dà atto, che ha rideterminato il trattamento secondo il metodo di calcolo contributivo, potenzialmente riducendolo ulteriormente rispetto al livello goduto.

In disparte il rilievo che il ricalcolo contributivo non implica necessariamente tale effetto riduttivo – non avendo altrimenti senso la previsione per cui «[i]n esito alla rideterminazione di cui al comma 1 la misura degli assegni vitalizi e delle relative quote agli aventi diritto non può in nessun caso superare quella prevista dalle leggi regionali 38/1995 e 13/2003, nella formulazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge» (art. 2, comma 2) – esso opera solo a decorrere dal 1° luglio 2019 (art. 2, comma 1), per cui «la rideterminazione riguarda soltanto le prestazioni future, successive alla normativa sopravvenuta, non quelle anteriori, alle quali confinare la domanda e la pronuncia. Dunque, la nuova disciplina non esclude la rilevanza delle questioni, né inficia l’iter logico che ha supportato la relativa valutazione» (sentenza n. 136 del 2022).

3.2.– La Regione eccepisce l’inammissibilità delle questioni sollevate per la contraddittorietà e la natura ancipite delle stesse, atteso che il rimettente avrebbe, al contempo, qualificato le misure denunciate come intervento riduttivo del vitalizio e come prelievo tributario.

L’eccezione non è fondata in quanto gli argomenti sui quali si fonda attengono al merito.

3.3.– La Regione eccepisce altresì l’inammissibilità del primo ordine di censure, ritenute oscillare tra la denuncia della retroattività della disciplina e la lamentata modifica in peius del regime relativo a un rapporto di durata, con ciò rendendo generica e incerta la motivazione sulla non manifesta infondatezza, anche in ragione del richiamo a numerosi precedenti giurisprudenziali ritenuti non perspicui.

L’eccezione non è fondata, per le stesse ragioni recentemente illustrate da questa Corte a proposito di un’eccezione di analogo tenore, sempre in tema di interventi riduttivi dei vitalizi regionali. Si può dunque ribadire al riguardo che «[i]l riferimento alla retroattività per una normativa destinata a operare solo per il futuro […] non rende incerta la motivazione, evidentemente calibrata – come agevolmente desumibile anche dalla descrizione della fattispecie – sulla modifica peggiorativa del rapporto, secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria (ex aliis, sentenza n. 234 del 2020), in relazione al quale il rimettente formula le proprie censure. Poiché, peraltro, la legittimità di interventi di tal fatta deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza – come meglio si vedrà – ad avviso del rimettente tale valutazione imporrebbe di considerare anche le circostanze di fatto e di contesto in cui essi sono maturati, tra cui distanza temporale dalla definizione del precedente assetto regolatorio, prevedibilità e proporzionalità dell’iniziativa. Se detti elementi rilevino solo nel caso di disposizione propriamente retroattiva o anche in caso di modifica peggiorativa pro futuro costituisce valutazione afferente al merito; la loro deduzione, nella fattispecie, non è comunque tale da inficiare la chiarezza delle censure» (sentenza n. 136 del 2022).

3.4.– Sempre con riguardo al primo ordine di censure, nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, la Regione lamenta la mancata considerazione del dettato dell’art. 1, commi 486 e 487, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), e della riduzione dei trattamenti vitalizi ivi contemplata, che, inficiando la valutazione d’imprevedibilità dell’intervento regionale, determinerebbe l’inammissibilità delle questioni per omessa ricostruzione del contesto normativo di riferimento.

Neanche tale eccezione è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’incompleta ricostruzione della cornice normativa è fonte di inammissibilità ove comprometta irrimediabilmente le valutazioni del rimettente sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza (ex aliis, sentenza n. 61 del 2021). Ciò, tuttavia, non accade nella fattispecie: non sotto il primo profilo, alla stregua delle domande svolte nel giudizio principale di accertamento del diritto alla percezione del trattamento nel suo importo integrale, senza riduzioni, e di conseguenziale condanna al pagamento di quanto indebitamente trattenuto; ma nemmeno sotto il secondo, considerato che l’imprevedibilità non esaurisce, nell’assunto del rimettente, gli elementi ritenuti sintomatici della violazione dell’affidamento e, quindi, in questo senso, non costituisce un aspetto cruciale (sentenza n. 264 del 2020) delle censure, supportate da una motivazione non incentrata specificamente (ordinanza n. 147 del 2020) su tale profilo e quindi influenzate, poco o punto, dal fatto che siano stati previsti dal legislatore statale interventi incidenti in senso riduttivo sui vitalizi, di cui, inoltre, come meglio si vedrà, quelli oggi denunciati non possono ritenersi attuativi (per un’analoga argomentazione, sentenza n. 136 del 2022).

3.5.– Sempre con riferimento al medesimo ordine di censure, in via gradata, la Regione eccepisce l’inammissibilità di quelle formulate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 21 e 25 CDFUE, agli artt. 10, 20 e 157 TFUE e all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali», parametri interposti evocati, a suo dire, senza adeguato sviluppo del percorso motivazionale a sostegno della relativa violazione.

L’eccezione è fondata.

Effettivamente detti parametri vengono meramente enunciati senza specificazione delle ragioni per le quali la normativa denunciata li violerebbe.

3.6.– Occorre altresì rilevare d’ufficio l’inammissibilità di ulteriori questioni sollevate dal giudice a quo nell’ambito del primo ordine di censure.

In sostanza, il rimettente deduce la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, «ricaduta e declinazione “soggettiva” dell’indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza del diritto» (sentenza n. 108 del 2019), da ricondurre all’art. 3 Cost. (ex multis, sentenza n. 136 del 2022).

Nella fattispecie, tuttavia, il giudice a quo evoca, oltre a esso, un’ampia pluralità di parametri (artt. 2, 23, 42, 48, 51, 67 e 97 Cost.), senza che a ciò si accompagni la spiegazione circa la riconducibilità agli stessi di tale principio e quindi sia motivato il vulnus che l’asserito pregiudizio all’affidamento ne determini.

Tali censure sono dunque inammissibili per carenza di argomentazioni spese a conforto delle stesse (ex aliis, sentenza n. 236 del 2017).

Analogamente deve concludersi con riguardo alla lamentata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, stante la necessità di una puntuale considerazione sulle specifiche ragioni di contrasto da parte del rimettente (sentenza n. 151 del 2021), il quale, viceversa, con riferimento al parametro convenzionale, non espone i motivi di violazione né dà «contezza alcuna dell’esistenza di specifiche interpretazioni nel senso auspicato da parte della Corte di Strasburgo dell’evocato principio della CEDU» (ordinanza n. 31 del 2011).

Infine, inammissibili sono anche le questioni sollevate in riferimento agli artt. 10 e 11 Cost., trattandosi di parametri soltanto indicati nel corpo dell’ordinanza, senza che la loro dedotta violazione goda di alcun conforto motivazionale.

Si deve pertanto concludere che, in un contesto connotato dall’evocazione di parametri eterogenei «richiamati in una generica deduzione d’insieme e che non vengono adeguatamente esaminati, […] il giudice a quo non abbia assolto l’onere di motivazione su di esso incombente in ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio di incostituzionalità prospettato in riferimento ai suddetti parametri, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “non basta l’indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione” (ex plurimis, sentenza n. 212 del 2018)» (sentenza n. 115 del 2020).

3.7.– Con riferimento al secondo ordine di censure, incentrato sulla pretesa natura tributaria della misura adottata, occorre rilevare d’ufficio l’inammissibilità delle censure formulate in riferimento all’art. 97 Cost., la cui violazione non viene motivata.

3.8.– Nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza le parti del giudizio a quo, costituite anche in quello incidentale, deducono la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, che, nell’incentivare una riduzione dei vitalizi regionali, avrebbe fatto salvi quelli in corso di erogazione; inoltre, nelle conclusioni della medesima memoria, viene dedotta anche la violazione dell’art. 13 CEDU, nonché dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

Si tratta di profili di censura non indicati nell’ordinanza di rimessione ed è «precluso alle parti ampliare il thema decidendum come circoscritto dal giudice a quo, con la conseguenza che le censure formulate in riferimento a tali parametri non possono essere prese in considerazione» (sentenza n. 136 del 2022).

4.– Tanto premesso, si può passare all’esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale, iniziando dalle censure formulate dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost., per violazione del principio di tutela del legittimo affidamento.

Occorre al riguardo rammentare che, «“con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria, questa Corte ha più volte affermato che il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti; ciò a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009)” (sentenza n. 234 del 2020). […] Onde valutare il requisito della “giustificazione sul piano della ragionevolezza” occorre prendere le mosse dalle ragioni che hanno condotto il legislatore regionale all’adozione delle disposizioni censurate» (sentenza n. 136 del 2022, proprio in tema di riduzione dei trattamenti vitalizi regionali).

4.1.– L’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, nell’indicare le finalità dell’intervento normativo, evidenzia l’obiettivo di «contenimento della spesa pubblica riferita ai costi della rappresentanza politica regionale».

Tale obiettivo è peraltro coerente con gli antefatti della legge regionale in considerazione, richiamati nei lavori preparatori.

Il primo è rappresentato dalla relazione della Corte dei conti, sezione di controllo della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sul rendiconto generale della medesima Regione per l’esercizio finanziario 2013, allegata alla deliberazione 22 luglio 2014, n. FVG/118/2014/PARI, di parifica del rendiconto generale regionale.

In tale occasione la Corte dei conti, esaminando la spesa per il Consiglio regionale friulano, ne ha ravvisato un progressivo incremento, imputato in larga misura ai costi per l’erogazione degli assegni vitalizi, diretti e di reversibilità, in continuo aumento di incidenza, a cui si è accompagnato un inverso andamento della contribuzione da parte dei consiglieri. Ciò ha indotto la stessa Corte a ritenere «particolarmente problematica, e già critica, la sostenibilità degli oneri per gli assegni vitalizi», configurandosi «quindi la particolare urgenza di adottare ulteriori misure di contenimento e risanamento».

Il secondo degli antefatti è costituito dall’ordine del giorno «Linee guida sull’istituto dell’assegno vitalizio», approvato dalla Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, riunita in assemblea plenaria il 10 ottobre 2014, la quale, ravvisando l’opportunità di un’omogeneità dei trattamenti vitalizi nelle varie Regioni, ha adottato una iniziativa unitaria diretta a sollecitare l’adozione di una serie di misure costituenti «i parametri minimi e comuni a cui tutte le Regioni intendono fare riferimento per interventi in materia entro la fine dell’anno», tra cui quelle al cui schema si è sostanzialmente attenuto il censurato art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015.

Dai lavori preparatori risulta altresì l’esigenza di equità perseguita con l’introduzione delle misure riduttive censurate dirette ad incidere su un regime ritenuto di favore, soprattutto in raffronto ai presupposti necessari per godere dei trattamenti di quiescenza.

Quanto precede consente di concludere che l’iniziativa legislativa censurata è motivata da finalità di contenimento dei costi, a sua volta supportata da esigenze di sostenibilità del sistema dei vitalizi e di coordinamento interregionale, nonché da ragioni di equità a fronte di un trattamento normativo vantaggioso.

Orbene, in tema di trattamenti vitalizi dei consiglieri regionali, questa Corte ha considerato idoneo, sul piano della ragionevole giustificazione, l’intento di contenimento della spesa e quello di sostenibilità del regime dei predetti trattamenti; inoltre ha condiviso le «“esigenze di sobrietà” da assecondare attraverso il ridimensionamento di trattamenti retti da un regime connotato da indici di particolare favore quanto: a età e contribuzione minima necessaria per maturare il diritto all’assegno; ad ammontare della contribuzione gravante sul consigliere in rapporto alla sua misura; alla possibilità di cumularlo con altro trattamento vitalizio (in tutto o in parte) e di quiescenza altrimenti maturato, in passato anche in virtù di contribuzioni figurative (finché non è intervenuto l’art. 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000)”» (sentenza n. 136 del 2022).

Tali elementi di vantaggio, seppur sensibilmente temperati nell’evoluzione normativa successiva, risultano più marcati per i trattamenti retti dai regimi maggiormente risalenti, quali quelli di cui al giudizio a quo – secondo l’ordinanza di rimessione, tutti gli attori nel giudizio principale hanno svolto i mandati consiliari entro l’VIII Legislatura, conclusasi nel 2003 – regolati anche dall’Ordinamento della cassa mutua di previdenza per i consiglieri della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, approvato dal Consiglio regionale il 19 febbraio 1971, avente natura regolamentare (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 ottobre 1996, n. 8789), oltre che dalla successiva legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 settembre 1995, n. 38 (Disposizioni in materia di trattamento indennitario dei consiglieri regionali e modifiche alla legge regionale 9 settembre 1964, n. 2), più volte modificata nel corso del tempo, che ha soppresso la cassa mutua.

Più in particolare, la normativa regolamentare assoggettava i consiglieri regionali a una contribuzione mensile pari al 17,8 per cento (nell’ultimo periodo di vigenza) dell’indennità di presenza forfettizzata lorda spettante ai consiglieri (art. 3), prevedendo che l’assegno venisse liquidato a quelli cessati dal mandato che avessero compiuto 60 anni e corrisposto i contributi per almeno 5 anni, con un’età minima che si abbassava di un anno per ogni anno in più di mandato consiliare o di contribuzione «con il limite all’età di 55 anni» (art. 4, lettera a); la misura dell’assegno variava a seconda del numero di anni si contribuzione, raggiungendo il 26,25 per cento dopo 5 anni, il 92,25 per cento dopo 20 anni e il 100 per cento dopo 30 anni, percentuali dapprima calcolate sull’intera indennità di presenza mensile forfettizzata dei consiglieri in carica, successivamente sul 65 per cento e poi sul 64 per cento della medesima indennità (art. 8 e Tabella A allegata al regolamento). Quanto all’assegno di reversibilità – spettante al superstite se la morte fosse avvenuta: a) dopo la cessazione del mandato in presenza di almeno 5 anni di contribuzione; b) durante il mandato; c) dopo la concessione del vitalizio (art. 11) – esso variava, per il coniuge, da un minimo del 60 per cento a un massimo dell’80 per cento dell’assegno che sarebbe spettato al defunto, a seconda del numero di figli (art. 12).

La legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 38 del 1995, assoggettando i consiglieri regionali a una trattenuta mensile pari al 17 per cento dell’indennità di presenza – ancorata alle competenze spettanti ai componenti della Camera dei deputati (art. 2) – a titolo di contributo per la corresponsione dell’assegno vitalizio e del 2 per cento per la reversibilità (art. 3), ha previsto che il trattamento spettasse ai consiglieri cessati dal mandato che avessero compiuto 60 anni e corrisposto i contributi per almeno 5 anni (art. 7); la misura dell’assegno – consistente in una percentuale dell’importo lordo dell’indennità prevista per i membri del Parlamento dall’art. 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261 (Determinazione della indennità spettante ai membri del Parlamento) – raggiungeva il 17,5 per cento di detta indennità dopo 5 anni di contribuzione e comunque non poteva superare il 55 per cento dopo 20 anni di contribuzione (art. 8 e Tabella A allegata alla legge regionale). Ai superstiti veniva riconosciuto un trattamento di reversibilità nella misura complessiva del 60 per cento di quello che sarebbe spettato al consigliere deceduto (art. 17), purché fossero soddisfatti i requisiti contributivi richiesti per il diritto all’assegno (art. 16).

Si può dunque concludere che «[è] di tutta evidenza la vantaggiosità della disciplina sommariamente descritta, soprattutto se confrontata con i principi che nel tempo sono venuti regolando i trattamenti pensionistici, per quanto non assimilabili, per natura e regime, ai vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di una determinata carica (sentenza n. 289 del 1994), salvo che per la lata funzione previdenziale che questi ultimi anche rivestono e per alcune affinità strutturali (versamenti contributivi, erogazione al raggiungimento di una certa età, reversibilità) (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 20 luglio 2016, n. 14925 e n. 14920)» (sentenza n. 136 del 2022).

Le considerazioni che precedono consentono di riscontrare la ragionevole giustificazione degli interventi riduttivi posti in essere dal legislatore regionale.

4.2.– Occorre adesso valutare se essi trasmodino in una disciplina irrazionalmente lesiva del legittimo affidamento, «tenendo presente che anch’esso “è soggetto al normale bilanciamento proprio di tutti i principi e diritti costituzionali” (sentenza n. 241 del 2019)» (sentenza n. 136 del 2022).

Ebbene, al riguardo si deve ribadire quanto recentemente affermato da questa Corte in merito ai trattamenti vitalizi dei consiglieri della Regione Trentino-Alto Adige, ossia che «“[l]’esigenza di ripristinare criteri di equità e di ragionevolezza e di rimuovere le sperequazioni e le incongruenze, insite in un trattamento di favore, è da ritenersi preponderante rispetto alla tutela dell’affidamento” (sentenza n. 240 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 108 del 2019)» (sentenza n. 136 del 2022).

Né in senso contrario varrebbe il rilievo, operato anche dalle parti private, che si tratti di misure inserite in un percorso caratterizzato da una precedente riduzione dei vitalizi nel 2006 – pacificamente frutto della riduzione dell’ammontare massimo dell’indennità spettante ai parlamentari nazionali (ed europei), disposta dall’art. 1, comma 52, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», a cui, per la determinazione della misura del vitalizio, operava un rinvio mobile l’art. 8, comma 1, della legge reg. Friuli Venezia Giulia n. 38 del 1995 fino al 2011, quando il rinvio è divenuto fisso, richiamandosi l’indennità parlamentare riferita al 1° gennaio 2011 – e dal blocco della rivalutazione dell’assegno per effetto dell’art. 10 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 23 marzo 2014, n. 3 (Disposizioni in materia di organizzazione e di personale della Regione, di agenzie regionali e di enti locali). Ciò in quanto «ogni intervento deve essere scrutinato nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui si inserisce» (sentenza n. 234 del 2020).

D’altra parte, la previsione di un sistema di aliquote progressive conforta la proporzionalità dell’iniziativa, unitamente all’esigenza, segnalata dalla Corte dei conti, di un intervento diretto al ripristino della sostenibilità del regime dei vitalizi regionali, rammentandosi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’effettività delle condizioni di crisi di un sistema previdenziale «consente […] di salvaguardare anche il principio dell’affidamento, nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli» (sentenza n. 173 del 2016).

Circa la prevedibilità della misura, anche con riferimento ai vitalizi in considerazione, si può affermare che gli interessati non potessero «fare affidamento su un ammontare degli assegni, anche di quelli in corso di erogazione, non suscettibile di modifiche riduttive pro futuro, a fronte di trattamenti così come in precedenza descritti e delle coeve misure adottate in generale dal legislatore statale a fini di contenimento della spesa, anche previdenziale» (sentenza n. 136 del 2022).

A quest’ultimo proposito occorre ricordare come, nel medesimo periodo di operatività della normativa censurata, abbiano trovato applicazione prelievi, variamente denominati, che hanno riguardato i trattamenti pensionistici di importo più elevato, di cui le riduzioni all’odierno esame riproducono la struttura. Ci si riferisce, in particolare, a quelli di cui all’art. 1, commi 486 e 487, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», e all’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).

Sebbene l’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015 non possa ritenersi attuativo del citato art. 1, comma 487, della legge n. 147 del 2013 – in quanto quest’ultimo prescriveva il versamento «all’entrata del bilancio dello Stato» del risparmio derivante dalle misure di contenimento applicate anche ai vitalizi regionali, ciò che nella fattispecie non è previsto, altrimenti vanificandosi l’evidenziata finalità di riequilibrio del sistema perseguita dall’intervento – esso concorre a smentire l’imprevedibilità della riduzione, preconizzata, seppur solo poco tempo prima, dalla disposizione statale.

Né, a sostegno dell’affidamento, può essere utilmente evocato l’art. 2, comma 1, lettera m), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, norma questa che fa salvi i trattamenti vitalizi in corso di erogazione solo con riguardo alla previsione dei limiti di età e di durata del mandato, senza precludere una loro riduzione (sentenza n. 136 del 2022).

Alla luce di quanto precede, si deve concludere che le misure introdotte, oltre a trovare giustificazione sul piano della ragionevolezza, non trasmodano in una disciplina lesiva del legittimo affidamento, onde la non fondatezza delle questioni sollevate.

5.– Passando al secondo ordine di censure, il rimettente sostiene che l’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015 violi gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto l’intervento riduttivo previsto rivestirebbe natura sostanzialmente tributaria, costituendo un prelievo coattivo, acquisito al bilancio, correlato a un dato indice di capacità contributiva e gravante solo su una ristretta categoria di soggetti e non su tutti i cittadini, con ciò risultando ingiustificatamente discriminatorio e irrispettoso dei canoni di uguaglianza a parità di reddito e di universalità dell’imposizione.

Le censure non sono fondate.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «la fattispecie tributaria postula il ricorrere di una disciplina legale “finalizzata in via prevalente a provocare una decurtazione patrimoniale del soggetto passivo, svincolata da ogni modificazione del rapporto sinallagmatico” (sentenza n. 178 del 2015, punto 9.1. del Considerato in diritto) e, sul piano teleologico, la destinazione delle risorse derivanti dal prelievo e connesse a un presupposto economicamente rilevante, rivelatore della capacità contributiva, “a sovvenire pubbliche spese” (fra le molte, sentenza n. 89 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 240 del 2019).

Nel caso in esame, tuttavia, i tratti distintivi della fattispecie tributaria non si rinvengono.

La scelta legislativa di incidere pro futuro sull’ammontare dell’assegno vitalizio corrisposto agli ex consiglieri regionali e ai loro superstiti, infatti, non si atteggia come prelievo a loro carico, in ragione dell’indice di capacità contributiva espresso da tale trattamento, onde chiamarli a sovvenire più intensamente le pubbliche spese, bensì quale misura di razionalizzazione della spesa previdenziale e di complessivo riequilibrio del sistema, così da sottrarla alla logica che permea l’imposizione tributaria (sentenze n. 263 del 2020 e n. 240 del 2019). In tal senso depongono sia la finalità di risparmio espressa dall’art. 1 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, sia la ratio di sostenibilità del regime regionale dei vitalizi sottesa all’intervento ed evincibile dalla sua matrice, quale precedentemente illustrata.

Ne discende la non fondatezza delle questioni sollevate.

6.– Con il terzo ordine di censure, il giudice a quo deduce la violazione degli artt. 48, 51, 64, 66, 67, 68 e 69 Cost., in quanto l’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, riducendo l’ammontare del vitalizio, avrebbe pregiudicato la ratio a esso sottesa di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica e di garanzia d’indipendenza, a presidio dei principi di libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48 Cost.), di accesso alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.), di libero esercizio delle funzioni di consigliere regionale senza vincolo di mandato (artt. 67 e 69 Cost.) e, più in generale, della posizione costituzionale assicurata dagli artt. 64, 66 e 68 Cost.

6.1.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 64, 66, 67, 68 e 69 Cost. non sono fondate.

Al riguardo si deve ribadire quanto affermato da questa Corte a fronte di analoghe censure formulate avverso le misure di riduzione dei vitalizi spettanti ai consiglieri della Regione autonoma Trentino-Alto Adige: «“[a]l Parlamento nazionale […] deve essere riconosciuta una posizione costituzionale del tutto peculiare […], in ragione della quale le norme che si riferiscono ad esso od ai suoi membri sono da qualificare come diritto singolare” (sentenza n. 24 del 1968; nello stesso senso, ex aliis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 13 marzo 2020, n. 7220). Ad esso “vengono garantite forme di indipendenza e prerogative ben più ampie di quelle concesse ai Consigli regionali” (sentenza n. 66 del 1964), “negandosi in conseguenza la piena equiparazione delle assemblee legislative regionali alle assemblee parlamentari” (sentenza n. 6 del 1970; nello stesso senso, sentenze n. 110 del 1970, n. 143 del 1968 e n. 14 del 1965), considerato che, “‘diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano […] nell’esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità’ (sentenza n. 301 del 2007)” (sentenza n. 279 del 2008). Alla luce delle considerazioni che precedono, i parametri evocati risultano inconferenti, con conseguente non fondatezza delle questioni sollevate in riferimento a essi (sentenza n. 198 del 2021)» (sentenza n. 136 del 2022).

6.2.– Restano da esaminare le censure formulate in riferimento agli artt. 48 e 51 Cost.

Le questioni non sono fondate.

Già da tempo questa Corte ha affermato che «[i]n un regime democratico a larga base popolare e nell’ambito del quale il potere non è riservato ai ceti che si trovino in condizioni economiche di vantaggio il legislatore ha l’obbligo di porre in essere tutte quelle condizioni che appaiono indispensabili per consentire anche ai non abbienti l’accesso alle cariche pubbliche e l’esercizio delle funzioni a queste connesse. In attuazione di questo indirizzo, che si ricava dal principio generale formulato nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, sia la Costituzione (art. 69) sia alcuni Statuti speciali espressamente assicurano ai membri del Parlamento ed ai componenti dei consigli regionali la corresponsione di una indennità, demandandone alla legge la determinazione» (sentenza n. 24 del 1968).

Da parte sua, la Corte di cassazione – pronunciando con riferimento ai parlamentari in sede di regolamento di giurisdizione, ma con considerazioni che, con riguardo al diritto di accesso alle cariche elettive, valgono anche per i consiglieri regionali – ha evidenziato il raccordo tra l’indennità e il successivo trattamento vitalizio, riconoscendo a entrambi la funzione di non ostacolare l’accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (art. 51 Cost.) e, indirettamente, di garantire la libertà di scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori (art. 48 Cost.) (ex aliis, Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 10 novembre 2020, n. 25211).

Occorre, tuttavia, rammentare che «la compiuta disciplina delle implicazioni d’ordine economico, connesse all’attività pubblica svolta, rimane nondimeno affidata, ferma restando la garanzia del posto di lavoro espressamente prevista dall’art. 51, terzo comma, della Costituzione, alle scelte discrezionali del legislatore (v., oltre alla già citata sentenza n. 193 del 1981, le sentenze n. 52 del 1997 e n. 35 del 1981)» (sentenza n. 454 del 1997).

Né si può ritenere che, nella fattispecie, tale discrezionalità sia stata esercitata dal legislatore regionale in maniera manifestamente irragionevole o arbitraria, alla stregua non solo delle considerazioni precedentemente svolte a proposito della ratio giustificatrice delle misure riduttive adottate, ma anche della loro incidenza sui soli trattamenti di più elevato ammontare.

Tale ultima considerazione, valutata unitamente alla cumulabilità – espressamente prevista dal regolamento della cassa mutua (art. 10) e non esclusa dalla legislazione regionale successiva – con il trattamento pensionistico altrimenti maturato, anche in virtù di contribuzioni figurative – finché non è intervenuto l’art. 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000)» – consente comunque di escludere che le riduzioni operate abbiano condotto a un regime lesivo delle funzioni perequative e di garanzia proprie del trattamento vitalizio. Di qui la non fondatezza delle questioni sollevate.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 febbraio 2015, n. 2 (Disposizioni in materia di trattamento economico dei consiglieri e degli assessori regionali, nonché di funzionamento dei gruppi consiliari. Modifiche alle leggi regionali 2/1964, 52/1980, 21/1981, 38/1995, 13/2003, 18/2011 e 3/2014), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 10, 11, 23, 42, 48, 51, 67 – questi ultimi tre parametri evocati a fondamento del principio di tutela del legittimo affidamento – 97 e 117, primo comma, Cost. – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU); agli artt. 21 e 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE); agli artt. 10, 20 e 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), nonché all’«art. 2015 del Pilastro europeo dei diritti sociali» – dal Tribunale ordinario di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 2 del 2015, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 48, 51, 53, 64, 66, 67, 68 e 69 Cost., dal Tribunale ordinario di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2022.